OLTRE LA RABBIA: COMPRENDERE PER LIBERARSI

“Ogni volta che mi arrabbio ho torto, anche se il torto è tutto di quelli che mi fanno arrabbiare.
Ma ho torto io! E guardate che quell’arrabbiatura, non parlo dell’arrabbiatura col pugno sul tavolo perché quella è superatissima, ma dell’irritazione che pur rimanendo calmi e sorridenti, sentiamo dentro di noi: quella è la stessa cosa che arrabbiarsi. Perché ho torto io? Ho torto perché quella arrabbiatura riguarda me.
Il torto che mi fa quell’essere riguarda me: per l’ennesima volta io vengo messo alla prova perché io debbo attingere ad una forza di conoscenza dell’altro che viene mosso da molle di cui non si rende conto.
L’altro è mosso dal “Karma,” l’altro è mosso da forze che lo dominano, egli mi sta facendo del male perché soffre, sta subendo qualcosa che è più forte di lui. Egli non lo sa, mentre io lo so, e se riesco a mantenere l’assoluto distacco, se riesco ad avere compassione di lui, l’arrabbiatura è vinta perché egli non può più farmi del male. E così divento invulnerabile, è una legge magica, questa”.
Massimo Scaligero 

Leggendo le parole di Massimo Scaligero, filosofo e scrittore italiano noto per i suoi studi sulla spiritualità e la conoscenza interiore, emerge una verità difficile da accettare e ancor più ardua da applicare: «ogni volta che ci arrabbiamo, abbiamo torto». Non perché negli altri non ci sia colpa, ma perché permettere alla rabbia di attecchire dentro di noi significa diventare suoi prigionieri.
Questa riflessione invita a una rivoluzione interiore: trasformare l’irritazione in consapevolezza, la reazione in distacco, la rabbia in compassione. Il testo non si riferisce alla collera esplosiva, quella che si manifesta con urla o gesti plateali, ma a quella più sottile, che ci avvolge anche quando all’esterno appariamo calmi. È proprio questa forma di risentimento che Scaligero suggerisce di smascherare, perché è la più insidiosa: silenziosa ma capace di avvelenarci.
Abbiamo torto a lasciarci trascinare dalla rabbia perché, come suggerisce Scaligero, il male che vediamo negli altri ci tocca solo nella misura in cui lo rendiamo un problema personale. L’altro, colui che ci ferisce, è spesso spinto da forze di cui non è pienamente consapevole, da dinamiche che lo sovrastano o da dolori irrisolti. Se riusciamo a vedere oltre il suo comportamento, cogliendone la sofferenza nascosta, la nostra rabbia può dissolversi.
Sarebbe un atto di forza autentico, non un dominio sugli altri, ma su noi stessi. Non si tratta di indifferenza, bensì di una nuova libertà interiore: smettere di farsi ferire significa smettere di essere vulnerabili.
Scaligero, che ha dedicato la sua opera alla consapevolezza e alla trasformazione interiore, definisce questa una «legge magica». Ed effettivamente lo è, nel momento in cui il prossimo non può più ferirci e il suo potere su di noi svanisce, non perché diventiamo insensibili, ma perché attingiamo a una conoscenza più profonda: quella che trasforma il conflitto in comprensione, la rabbia in lucidità, il dolore in forza.
Un insegnamento potente, che ci coinvolge e ci invita a guardare dentro di noi prima di puntare il dito contro gli altri. La vera invulnerabilità non si ottiene evitando gli scontri, ma impedendo loro di toccarci davvero.

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