
Ieri sera guardavo questo meraviglioso tramonto dal piccolo spazio che mi sono concesso tra i bricchi affacciati sul golfo del Tigullio, tra Chiavari e Rapallo.
Un susseguirsi di visioni mozzafiato, sempre diverse eppure simili nel modo in cui arrivano al cuore. Anche le persone nate e cresciute qui raccontano che nessun tramonto o alba è mai uguale al precedente, né identico a quello che verrà.
In questi luoghi non ci si stanca mai della poesia del paesaggio: ci si lascia rapire dai colori, dai sogni, dal profumo unico che sembra evocare scenari paradisiaci.
Contemplando tanta meraviglia ho cominciato a riflettere sugli aspetti preziosi della nostra vita terrena e sul significato della nostra esistenza, un pensiero che da tempo risuona dentro di me e che ha trovato spazio anche in altre riflessioni condivise qui.
Pensavo al percorso che ci conduce prima verso la maturità e poi, più facilmente per chi coltiva la lettura e l’ascolto, verso forme di conoscenza che avvicinano la saggezza.
È un cammino talvolta tortuoso, che procede insieme all’invecchiamento del corpo, ma che può essere arricchito dalla curiosità e dal desiderio di apprendere: cercare un senso quando tutto intorno sembra pretendere soltanto velocità, efficienza, movimento.
Crescendo ci si accorge che non basta vivere: occorre comprendere per cosa viviamo.
Non è facile. Mancano gli spazi e spesso manca la volontà, indebolita dalle smanie dei nostri tempi.
Possiamo anche illuderci di avere sempre la forza per superare ostacoli naturali e innaturali, ma lungo il cammino incontriamo distrazioni costruite appositamente, ingranaggi di un sistema che negli anni ha sottratto spazio allo spirito, alla conoscenza di sé, alla crescita interiore.
Il parametro di ciò che chiamiamo “benessere” è stato ricalibrato così tante volte da allontanarsi da ciò che davvero ci nutre.
A questo si sommano le fatiche reali della vita: la sofferenza, la malattia, il dolore, le preoccupazioni che agiscono come ombre nelle pieghe dell’anima.
Sono presenze capaci di imprigionare la mente, restringere lo sguardo, offuscare il senso.
Eppure, attraversando alcune di quelle ombre, mi è diventato più chiaro che l’esistenza custodisce un’occasione irripetibile.
Siamo ospiti di corpi fragili, viandanti chiamati non solo a resistere, ma a interpretare le prove che incontriamo.
Con il tempo ho capito che per superare ciò che ci accade non basta affrontarlo: occorre comprenderne il significato.
Siamo esseri unici: conserviamo memoria di ciò che è stato, ma non certezza di ciò che sarà.
Tuttavia, quando ci rendiamo conto che ciò che abita dentro di noi non coincide sempre con ciò che mostriamo all’esterno, si apre un varco sottile.
Attraverso quella soglia possiamo intravedere la direzione del nostro cammino.
Questo sguardo interiore modifica anche il modo in cui incontriamo gli altri.
Oggi, quando una persona mi si pone davanti, sono attratto da ciò che abita quel corpo: quale anima si cela dietro le sembianze, la storia che custodisce, la profondità o la stanchezza che affiora.
Avverto il livello di presenza raggiunto dalla sua individualità, la distanza o la vicinanza rispetto a quella meraviglia sommessa che l’esistenza trattiene in sé.
È una sensibilità che non ho cercato.
Ne parlai tempo fa in un altro scritto: si è formata lentamente, maturando in silenzio.
A volte è una benedizione, altre un peso.
Cogliere ciò che gli altri non dicono apre spazi straordinari di dialogo autentico, ma può anche rendere più soli, meno compresi.
Eppure proprio gli scambi che nascono da quello spazio interiore sanno farsi dono inatteso: possono sostenere chi non vede ancora certi aspetti o accelerare la crescita di chi è già avanti.
Può anche accadere di incontrare chi cammina in un punto simile al nostro: allora nasce una condivisione diversa.
Non è insegnamento né sostegno: è un andare parallelo.
Passi che si riconoscono, silenzi che si comprendono, intuizioni che si accordano senza sforzo.
Intanto continuo a misurarmi con la mia imperfezione.
Lontano dalla coerenza ideale, ma vicino alla verità di ciò che sento.
Accolgo la parte di me che inciampa, quella che si lascia trascinare dall’istinto come un purosangue che conosce solo la corsa, e quella che invece cerca con costanza un punto fermo dentro di sé.
Ho imparato a non trattenere ciò che non mi nutre e a custodire ciò che merita spazio.
La sensibilità che spesso ho vissuto con imbarazzo è diventata un supporto prezioso:
filtra le esperienze, rivela ciò che negli altri resta nascosto, amplifica le vibrazioni di un gesto, di una parola, di uno sguardo.
Continuo così il mio cammino, giorno dopo giorno, con la consapevolezza di essere un viaggiatore imperfetto, ma autentico.
E in questa imperfezione riconosco la mia forza:
la capacità di lasciarmi attraversare dalla vita senza smettere di cercarne il significato più profondo.