
Nel mio navigare in rete mi capita spesso di imbattermi in sfoghi, a volte ben argomentati, a volte solo emotivi, che raccontano le difficoltà di molti (giovani e non solo) nel trovare una collocazione autentica in una società sempre più frenetica. Un mondo che divora sensibilità e complessità, premiando ciò che appare e sminuendo ciò che siamo realmente nella nostra individualità.
Leggo storie che parlano di disorientamento, smarrimento, fatica a riconoscersi in un sistema che sembra non prevedere spazi per ciò che non è conforme.
Credo sia necessario reagire. Perché l’errore più grande sarebbe proprio assecondare l’assurdo di questa epoca fluida e contraddittoria che stiamo vivendo. Serve una reazione consapevole, che ci impedisca di agire in modo scomposto, secondo le regole di un sistema imperfetto. Non lasciamoci schiacciare. Non rinunciamo mai alla possibilità di affermare chi siamo davvero.
Non intendo un’autoaffermazione arrogante o prepotente: sarebbe inutile, persino dannosa. Mi riferisco a qualcosa di più profondo e intimo: al diritto (e al dovere) di riconoscere il proprio valore davanti a sé stessi. Dare voce alla propria verità interiore. Affermare la propria unicità, anche (e soprattutto) quando sembra non avere un posto.
Ogni individualità ha un senso, una logica, una coerenza. E spesso, proprio le persone più complesse, le più sensibili, profonde, rare, affrontano i percorsi più impervi. È un cammino in salita, silenzioso, dove lo sguardo degli altri non trova le parole per riconoscerci. Ma non è nello sguardo altrui che il nostro valore si definisce.
Come spiegava Carl Rogers, il nostro benessere nasce dall’allineamento tra il sé reale (ciò che siamo davvero) e il sé ideale, costruito per compiacere le aspettative esterne.
Ogni conferma cercata altrove rischia di farci dimenticare il suono autentico della nostra voce. Ma quando smettiamo di recitare ruoli, e torniamo a sentire il battito autentico della nostra identità, allora anche le ferite diventano tracce.
Tracce di ciò che siamo sempre stati, anche quando nessuno lo vedeva.
L’unicità, quando non può essere compresa, spesso viene mal interpretata. E ciò che non si comprende, si teme.
Ricordiamo tutti la storia del brutto anatroccolo: ci parla del dolore di sentirsi fuori posto e della bellezza che può sbocciare proprio da quell’emarginazione. Magari non tutti lo conoscono, ma c’è anche il racconto de Il valore dell’anello: molti si lasciano condizionare da giudizi superficiali, ma il vero valore di una persona non può essere determinato da chi non ha la competenza per riconoscerlo. Un saggio che ci insegna a non cercare approvazione in chi non ha gli strumenti per capire chi siamo davvero. Spesso il problema non è il nostro valore, ma a chi permettiamo di valutarlo.
Ci sono esistenze che somigliano a labirinti. Oscuri, intricati, pieni di ostacoli.
Lo so bene, perché quei sentieri li ho percorsi, e ne conosco ogni svolta cieca, ogni oscurità, ogni insidia. Sono percorsi segnati da esclusione e mortificazione, dalla presunta e ridicolizzata “incapacità” o difficoltà a esprimersi, da relazioni complesse, spesso solitarie. Eppure, chi ha il coraggio di attraversare questi deserti con cuore e tenacia può scoprire in sé risorse che nemmeno immaginava di avere. Se si resiste. Se non ci si spegne. Se si costruisce un’autostima vera, anche passando da una fragilità iniziale inevitabile, allora si può accedere a una dimensione dell’esistenza più alta, più consapevole, più autentica.
Spesso, chi ha fatto i conti con la propria diversità – quella che il mondo non riconosce, quella sensibilità che, quando acerba, viene scambiata per debolezza – ha vissuto esperienze molto lontane dalla “normalità” degli altri. Percorsi meno lineari, certo, ma non per questo meno degni. Anzi.
La semplicità non è da disprezzare, non è sinonimo di mediocrità. Ma è vero che certe profondità nascono solo dalla lotta: con sé stessi e con un mondo che tende a uniformare, a rifiutare ciò che non comprende, a discriminare ciò che esce dai confini del prevedibile. La vita mi ha insegnato che certe vette interiori restano inaccessibili a chi non è mai sceso nelle valli più buie dell’anima. Quelle dove inciampi, ma impari. Dove ti perdi, ma ti ritrovi.
Non bisogna mai arrendersi o rinunciare a esprimere la propria unicità. Anche quando sembra un peso, anche quando fa male, perché è proprio quella unicità a essere, in fondo, il nostro dono più raro. Un seme. Se coltivato con amore e nutrito con pazienza, può diventare un albero maestoso.