IL FILO CHE SI SPEZZA

Ci sono distacchi che non fanno rumore. Non sono litigi, né addii dichiarati. Sono strappi silenziosi, legami che si sfilacciano piano, come tessuti che cedono sotto il peso del tempo o dell’incomprensione.

Non te ne accorgi subito. Lo capisci solo dopo, quando, per qualche motivo, incontri o senti la persona che credevi di ritrovare lì, esattamente come l’ultima volta. Ma qualcosa non risuona più. Un turbamento sottile, ma costante, prende corpo. Ci si fraintende, qualcosa si spezza senza spiegazione.

Ne parlavo con un amico, entrambi abbiamo vissuto qualcosa di simile nell’ultimo periodo. Due situazioni analoghe in ambiti diversi: una nella cerchia più stretta delle amicizie, una in quella direttamente collegata alla parentela. Due relazioni interrotte senza un perché esplicito, senza una discussione, senza uno scontro. Solo silenzio. Un silenzio improvviso, diventato muro. Fino a poco prima, tutto sembrava armonioso, rispettoso. Poi, il nulla. E con il nulla, l’unica possibilità: ipotizzare. Qualcosa deve essere stato detto, o riportato male. Qualcosa deve essere stato creduto, senza che fosse data occasione di chiarire. E il filo si è spezzato.

Così, come ogni volta che si fa largo una forma di ingiustizia, che apprendo un fatto insensato, dentro di me nasce un bisogno quasi fisico di liberare ciò che mi agita. Le emozioni negative che provo non hanno in me un ritmo naturale come quelle positive. Non si espandono: premono. Vogliono uscire, si fanno pensieri incessanti o silenzi pesanti. Mi costringono a guardare in faccia quello che non capisco. E, non potendone parlare come mi piacerebbe, finiscono per diventare un’eco che mi rimbomba dentro. E allora scrivo.

Non mi mette a disagio farlo, né penso sia un segno di debolezza. Parlare delle ferite che squarciano i rapporti tra le persone, per me, è un modo di onorare il valore profondo dei legami più stretti. È perché li considero preziosi che il loro venir meno mi colpisce profondamente.

Mi sorprende quanto un rapporto consolidato nel tempo non basti più, da solo, a garantire spazio per il dialogo. Sempre di più viene meno la voglia di ascoltare le ragioni altrui. Non c’è più il desiderio di comprendersi a vicenda.

Una cosa che mi intristisce, e mi scuote nel profondo, nella fase storica che stiamo vivendo, è la scomparsa del dubbio. Un tempo era un valore. Oggi sembra una debolezza. Viviamo in un’epoca che pretende chiarezza assoluta, posizioni nette, fedeltà ideologica. Tutto si riduce a bianco o nero, giusto o sbagliato, svegli o addormentati. Non c’è più spazio per la complessità, per il confronto, per il tentativo sincero di capirsi anche quando non si è d’accordo.

A volte è sufficiente un dettaglio. Una parola fraintesa, un’opinione scomoda, un’assenza momentanea: ed ecco che si recidono anni di relazione. Basta poco, sì. Ma il vuoto che lascia è grande. E dentro quel vuoto si muove un pensiero che fa male: possibile che ciò che eravamo non basti più a proteggerci da un’incomprensione? Possibile che la fragilità dei legami abbia superato la loro verità?

Questa non è solo una crisi affettiva. È una povertà relazionale, una crisi profonda della comunicazione umana. Si è perso il coraggio di restare nel conflitto, di tollerare l’ambiguità, di lasciare che il tempo faccia il suo lavoro. Si preferisce troncare, spegnere, allontanare. Come se il disaccordo fosse un pericolo e non un’occasione di crescita.

Eppure, io non voglio arrendermi a questo modo impoverito di vivere i legami. Non voglio diventare parte di quel meccanismo che elimina invece di affrontare. Scelgo, anche se può essere doloroso, di credere ancora nella possibilità del confronto, della parola che ricuce, dell’ascolto autentico. Anche quando è difficile. Anche quando sembra inutile.

Forse è una scelta “temeraria”. Forse, in alcuni casi, isola. Ma c’è una forma di dignità, e forse anche di pace, nel continuare a cercare il senso profondo delle cose. Nel restare aperti alla complessità. Nel non smettere di credere che ci si possa capire davvero, anche nelle crepe.

Perché è lì, proprio lì, nel mezzo del disaccordo, che può nascere qualcosa di autentico. Non nel silenzio comodo e sterile dell’allontanamento.

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